Zucche, funghi e foglie che cadono: tutti i cliché dell’autunno sono finalmente intorno a noi e il secondo numero della newsletter arriva proprio il giorno di Halloween, festività che suggella l’arrivo di quella che è stata unanimemente eletta a stagione più bella per sdraiarsi sul divano sotto una copertina a leggere un libro.
Nel frattempo io sono tornata da Parigi e la nostalgia ha preso il sopravvento, perciò aspettatevi numerosi riferimenti e sentimentalismi in questo e nei prossimi menu di Butter, she wrote.
Il brano che vi traduco questo mese si intitola Paris Aubergine (ecco la prima incursione parigina) ed è tratto dal secondo ricettario di Ella Risbridger, The Year of Miracles, scritto in un momento molto particolare della sua vita: dopo la morte del suo compagno (al quale era dedicato il suo primo libro, Il pollo di mezzanotte) e durante i mesi della pandemia.
Le ricette e le storie che racconta sono suddivise in dodici capitoli che corrispondono ai mesi dell’anno. Quella che ho scelto è leggermente fuori stagione perché è tratta dal mese di aprile, ma non potevo resistere alla tentazione di parlare ancora di Parigi, questa volta attraverso le parole di Ella.
“Melanzane alla parigina
Aprile, non a Parigi.
Là fuori da qualche parte c’è la Senna, i ciliegi in fiore e tutto il resto, ma io sono di nuovo seduta sui gradini del balcone con la cucina alle mie spalle. Sono imbronciata e penso a Parigi in primavera. Si, è un cliché, ma è il mio cliché. Una cosa piccola, ma mia.
Non essendo un’anziana vedova grondante di smeraldi e di fondotinta, non vado a Parigi ogni primavera. Anche se quando vivevo lì, molto tempo fa, pensavo che l’avrei fatto. Ma poi la vita… accade: prima avevo troppa paura per viaggiare, dopo non potevamo andare troppo lontano dall'ospedale (e non potevo andare da sola e lasciarlo qui), e poi ho pensato di andarci quest'anno, ma la vita - come dice Georgie - continua ad accadere. Eppure, Parigi; Parigi ad aprile, aprile a Parigi.
O meglio, la mia Parigi: non so niente del Louvre o della Tour Eiffel ma sono ferratissima sulle pasticcerie del 10° arrondissement e sulla periferia attraversata della RER E. So esattamente cosa voglio che mi portiate a casa da Monoprix (posate luccicanti, del formaggio Brillat-Savarin e i loro cetriolini). So quale burro mi piace.
Ricordo esattamente dov’è che trovammo un pianoforte per strada e Teddy si mise a suonarlo. Mi piace vedere i luoghi in questo modo, mi piace farne la mia casa, per un po'. Dormo sul divano di Zelda e Teddy e di giorno mi sistemo nei bar. Mi piace lavorare, scrivere e cucinare quando viaggio. Mi piacciono i supermercati e le persone che li frequentano, e far finta, almeno con me stessa, di vivere anch’io in quella città.
Mi comporto così ovunque io vada. Sono andata in Transilvania e sono rimasta al minimarket aperto 24 ore su 24 a contare i tipi di patatine in busta e ho bevuto caffè mentre camminavo a passo svelto per il cimitero, che poi è quello che faccio anche quando sono a casa. Sono stata a Roma per una settimana e ho visto tre volte il fruttivendolo, cinque volte il macellaio e quattro volte la madre del macellaio, e l'ultima di queste mi ha messo entrambe le mani sul viso e mi ha benedetto. (O almeno credo che mi abbia benedetto, non posso esserne sicura perché non parlo italiano).
Non so nulla di queste città tranne quello che ho mangiato, quello che ho letto mentre ero lì e le piccole cose che ho visto.
Quando sono a Parigi con Zelda camminiamo per i mercati; compriamo delle melanzane, del coriandolo, un lime. Incontriamo tante persone. Mi manca incontrare le persone. Mi manca la possibilità di andare in giro, e sono passate solo poche settimane. Mi manca la possibilità. [...] Chiamo questo piatto Melanzane alla parigina ma solo perché ho imparato a farle nella minuscola cucina parigina di Zelda, ai piani più alti del loro vecchio condominio nel 10° arrondissement.
Oggi sono a casa e il cielo è azzurro, e forse è arrivato il momento di imparare a trasformare la mia casa in altri luoghi, nello stesso modo in cui, quando viaggio, trasformo gli altri luoghi nella mia casa.”
Non sono sicuramente la prima a dirlo o a pensarlo, ma ne sono sempre più convinta: uno degli aspetti più belli di Instagram è la possibilità di conoscere persone geograficamente lontane ma vicinissime alla propria sensibilità.
È successo così anche con Maria Silvia, che con gentilezza ed entusiasmo mi ha raccontato il suo progetto artistico. Sto parlando di Quadri in Tavola un profilo che parla di cibo, tavole, convivialità e cultura in un modo originale ed elegante.
Da una passione coltivata fin da ragazzina visitando mostre, sfogliando cataloghi e collezionando cartoline nei bookshop dei musei, Maria Silvia ha iniziato a perdersi nei dettagli dei quadri e immaginarsi cosa stessero pensando o dicendo i personaggi nell’attimo colto dall’artista.
“Gioco sempre a trovare le somiglianze tra i soggetti ritratti e qualche personaggio noto o qualcuno di mia conoscenza”, mi spiega “talvolta, con qualche amica complice, ho anche doppiato ad alta voce le scene o scelto la canzone più indicata come colonna sonora. Mi piace cogliere istanti di intimità, perdermi nei dettagli delle stoviglie e delle espressioni. Mi piace guardare quelle immagini e raccontarmi delle storie. Perché ogni tavola, apparecchiata più o meno bene, ha una sua storia da raccontare”.
Insomma, un esercizio di stile che dà voce a illustrazioni e quadri che raccontano istanti di quotidianità. A questo va aggiunto il grande amore per il cibo, che è sfociato anche in una scelta di vita radicale: l’apertura, insieme a suo marito, di una gelateria naturale sul lago di Bracciano.
L’amore per il cibo, dicevamo, inteso “come alimentazione ma anche – o forse soprattutto – come espressione culturale e sociale, elemento attraverso il quale fare politica, raccontare un territorio e le sue tradizioni, strumento per guardare al futuro e pensare a un altro mondo possibile”. Quadri in Tavola è una narrazione originale che unisce l’universo del cibo e quello dell’arte rendendoli ancor più coinvolgenti, profondi e significativi.
Semplicità. A volte è questo ciò che desideriamo di più dalla colazione che facciamo mentre siamo ancora mezze addormentate o da uno spuntino che ci tiri su di morale.
Semplicità unita, naturalmente, a burro, dolcezza e a quell’equilibrio sottile e perfetto tra sbriciolosità e scioglievolezza. I croissant della boulangerie parigina Eric Kayser sono tutto questo. Un conforto semplice da ripetere il più spesso possibile. Finito il primo ne vorrete almeno altri tre e non c’è niente di male. Come diceva Nora Ephron, “Puoi sempre ordinare più di un dessert”.
Mi ero riproposta di raccontarvi ogni mese un piatto che mi emoziona, condividerne la storia e soprattutto la ricetta, per vederlo preparato da altre mani, in altre cucine e gustato da altri cuori. A settembre è andato tutto bene perché le pesche ripiene di mia nonna sono una ricetta rodata, che in famiglia abbiamo decodificato e perfezionato negli anni. Parlo di decodificare perché mia nonna in realtà le sue ricette non le ha mai date troppo volentieri.
Spulciava libri e riviste, chiedeva le ricette nei ristoranti che visitava, provava e riprovava, confrontava diversi procedimenti, testava varianti e ci metteva del suo (abilità, tempo, caparbietà, orgoglio) e quindi naturalmente le sue ricette frutto di ore di lavoro non le distribuiva in giro tanto alla leggera. E soprattutto le annotava a mano nei suoi quadernini in una scrittura fitta e veloce con tanto di appunti a margine e ingredienti aggiunti in un secondo momento che talvolta si contraddicono e confondono le idee dello sprovveduto lettore. (Su questo argomento la scrittrice Simonetta Agnello Hornby ha realizzato delle bellissime Lezioni d’autore per Feltrinelli).
Forse non avrebbe voluto che diffondessi nemmeno la ricetta delle pesche, ma nonna perdonami, è troppa la paura di vederle sparire, dimenticate e mai più riassaggiate. Quindi arriveranno altre ricette e altri ricordi, ma questo mese è stato più difficile del previsto. La ricetta in questione si componeva solo di una lista di ingredienti, nessuna dose, nessun procedimento. Quello che probabilmente per mia nonna era semplice e scontato, passate due generazioni non lo è più così tanto e per ricreare i suoi crostini ai funghi ci siamo messi in cucina in tre.
Voglio rassicurarvi sul fatto che la crema di funghi è venuta effettivamente molto bene, segno che qualche barlume di expertise e buon senso culinario è ancora acceso in famiglia.
Ma mentre ci interrogavamo sulle quantità, i tempi di cottura e le consistenze, è apparso chiaro come la cosa più importante in quel momento non era tanto il risultato finale ma il tempo, i ricordi e le risate che stavamo condividendo in quella cucina.
Quindi questo mese nessuna ricetta, niente liste di ingredienti, consigli e procedimenti, solo l’invito a mettervi in cucina con qualcuno che vi è caro o con il suo ricordo e preparare qualcosa di un po’ speciale, non complicato, morbido e caldo.
Eccoci arrivati alle letture del mese:
Per il primo appuntamento di quest’anno del book club di A Place for Us abbiamo letto Northanger Abbey di Jane Austen. Tornare a leggere la cara vecchia Jane è stato come fare un tuffo nell’adolescenza ai tempi della scoperta entusiasta di Orgoglio e pregiudizio e Persuasione. Northanger Abbey è uno dei primi romanzi di Jane Austen nel quale l’autrice si diletta (e diletta chi legge) nel prendere in giro il genere all’epoca tanto in voga del romanzo gotico con le sue intrepide e perfette eroine. A questo si unisce, disseminata per tutto il libro, una sagace e strenua difesa del genere prediletto della Austen, il romanzo. Infatti viene proprio da Northanger Abbey la famosa citazione: “Una persona, uomo o donna che sia, a cui non piaccia leggere un buon romanzo non può che essere intollerabilmente stupida”.
Questo mese la newsletter in abbonamento di Una certa idea di cibo è dedicata a una delle food writer più importanti e amate della nostra epoca: Ruth Reichl. Per l’occasione ho riletto alcuni dei suoi memoir gastronomici come La parte più tenera, Aglio e Zaffiri e Save me the plums che raccontano vita, carriera e ricette della Regina dei memoir culinari che è stata, tra le altre cose, critica gastronomica del New York Times e storica direttrice della rivista Gourmet.
Ho finalmente recuperato la lettura del primo numero de L’integrale, la rivista-libro di cultura gastronomica “che esplora, col pretesto di quello che si mangia e si beve, storie umane e altre vicende del nostro mondo”. Avevo amato molto anche il numero tre, dedicato al fuoco, e questo primo numero intitolato Attenti al pane non è stato da meno. Dentro ci trovate saggi, reportage, illustrazioni e ricette. La prospettiva del pane viene usata per parlare di storia, chimica, tradizioni, cultura e vissuti personali. Emoziona e fa venire fame. Meglio di così…
Ed ora, spazio alle nuove uscite. Come sempre un disclaimer è necessario: i libri che troverete qui sono ancora nella mia wishlist e li menziono nella più spudorata buonafede.
Pochi giorni fa è uscito Giù nella valle di Paolo Cognetti;
Tornando a parlare di Francia e di Parigi, è fresco di stampa anche il nuovo libro di Guido Tommasi Editore Bistrotier. Un’imponente ed esteticamente mirabile enciclopedia di ricette e vini francesi;
Il nuovo libro di Alessandro Baricco, un western metafisico intitolato Abel arriva in libreria il 7 novembre. Non ho ben chiaro cosa aspettarmi da un western metafisico ma ho immensa fiducia in Baricco;
Il 9 novembre invece è il turno di Dolly Alderton con Good Material.
Il tutto in attesa della primavera, quando il 6 marzo in contemporanea mondiale uscirà un romanzo inedito di Gabriel Garcia Marquez dal titolo In agosto nos vemos.
Il 30 aprile invece sarà il turno del nuovo libro di Ruth Reichl The Paris novel.
Grazie per aver letto fin qui, spero che la newsletter vi sia piaciuta. Il prossimo appuntamento è il 30 novembre con il nuovo menu del mese, che Jessica sia con noi!
Sarà anche la seconda NL ma sono già dipendente dalle tue parole. Complimenti!
Mi è venuta voglia di cucinare 😌